Che cos'è il tartufo?
Il tartufo
Origini botaniche, riproduzione e caratteristiche fisiche
Botanicamente i tartufi sono particolari funghi appartenenti al genere Tuber, divisione Ascomycota, ordine Pezizales, famiglia Tuberaceae.
I funghi o miceti sono organismi caratterizzati dalla mancanza di tessuti differenziati (come i protozoi), dalla riproduzione tramite spore e – essendo del tutto privi di clorofilla – dall’incapacità di alimentarsi sintetizzando molecole inorganiche.
Si dividono in due categorie: i saprofiti, che aggrediscono e degradano sostanze non viventi di origine animale o vegetale, e i funghi mutualistici o simbionti, che vivono a spese di altre specie, ma ne ricambiano l’ospitalità cedendo a loro volta sostanze utili.
Le specie del genere Tuber sono funghi che, simbioticamente associati a piante arboree, compiono l’intero ciclo vitale sotto terra (ipogei).
La struttura
Tartufo è il nome comune con il quale si indica il corpo fruttifero delle varie specie, botanicamente classificato come sporocarpo o carpoforo.
Originato dal micelio, la parte vegetativa del fungo, costituita da cellule filamentose dette ife, il frutto è un ammasso per lo più globoso formato da una parte esterna (scorza o peridio), liscia o, più frequentemente, rugosa o sculturata, e da una massa interna (polpa o gleba) percorsa da venature che delimitano alveoli, in cui sono immerse strutture a sacchetto (aschi), contenenti le spore (cellule riproduttrici).
La riproduzione
Non potendo diffondere le spore, come fanno i funghi di superficie, i tartufi emanano uno spiccato aroma: in tal modo gli animali che ne vengono attratti (maiali, cinghiali, scoiattoli, volpi, topi, lumache, talpe, lombrichi…) se ne cibano, spargendo le spore nel terreno, per l’avvio di un nuovo ciclo di riproduzione.
Il Tartufo si forma solitamente a mezzo metro sotto la superficie e se non viene mangiato dagli animali selvatici o cavato dall’uomo, raggiunta la maturazione rilascia le sue spore perché inizino un nuovo ciclo vitale.
Riconoscere le differenze
L’analisi delle caratteristiche del peridio, della gleba, degli aschi e delle spore, unita all’esame visivo e organolettico, permette di identificare le specie di tartufo.
Il colore (peraltro variabile in dipendenza di vari fattori, particolarmente del tipo di pianta superiore a cui la specie di Tuber è associata) e l’aspetto liscio o rugoso del peridio, assieme alla stagionalità del fungo, dovrebbero essere sufficienti per consentire a un consumatore adeguatamente informato di non venire truffato.
Va però tenuto presente che l’unico modo per determinare con assoluta certezza la specie cui appartiene un tartufo è l’analisi di laboratorio, attraverso il riconoscimento delle spore o la diagnosi biomolecolare del genoma.
Dove nasce
I luoghi e le piante simbiotiche che si prestano ad accogliere i tartufi
L’ambiente in cui il tartufo trova le condizioni ottimali è determinato da un mix estremamente delicato di tipo di terreno, grado di umidità, esposizione al sole, genere di copertura boschiva, pendenza del terreno, altitudine e altri fenomeni sconosciuti che lo rendono imprevedibile, misterioso e selvatico.
La terra
Il tipo di terreno è fondamentale, tenendo presente che la sua composizione è determinata dalla presenza di vari elementi quali argilla, sabbia, calcare ed humus; in funzione della prevalenza di uno di questi elementi, il terreno può essere definito sabbioso, calcareo o umifero.
I terreni prevalentemente adatti alla produzione dei tartufi sono di tipo calcareo, con grado di acidità tra i 6,8 e 8 di ph. Il Tartufo Bianco d’Alba, per esempio, predilige un terreno marmoso-calcareo, con un grado di acidità dal poco acido al neutro.
Il clima e l’altitudine
Le condizioni atmosferiche hanno una grande influenza sulla produzione dei tartufi, che è favorita soprattutto dalle piogge primaverili ed estive.
Una prolungata siccità durante l’estate, invece, può compromettere fortemente la produzione dei tartufi autunnali ed invernali.
Questo particolare fungo cresce prevalentemente in pianura, fino ad un’altitudine di 500-600 mt. Esistono specie di tartufo, però, che riescono a riprodursi fino a 1200 mt. di altitudine.
La vegetazione
Le piante simbionti sono, come anticipato prima, quelle che creano un rapporto di simbiosi con il tartufo permettendogli di rilasciare spore e innescare il processo di riproduzione.
Le più importanti, ovvero quelle che entrano in simbiosi con il tartufo più pregiato, sono le querce, i tigli, i pioppi, i salici, il carpino nero ed il nocciolo. Quelle che producono i tartufi neri si differenziano in funzione delle diverse specie.
Sotto la chioma di queste piante si formano delle zone quasi totalmente prive di vegetazione, dette “pianelli”; ciò sembra determinato dal fatto che il micelio produce sostanze chimiche che inibiscono la vegetazione…ingegnoso!
Nelle zone degli alberi tartufigeni si trovano altre specie di piante dette “comari”, che non producono direttamente il tartufo, ma contribuiscono a creare le condizioni idonee al ciclo di sviluppo.
Possiamo dire in definitiva che il tartufo è un fungo decisamente misterioso, un fungo che si ostina a non essere coltivato, che anzi nasce dove gli pare: trovarlo è una fortuna portata da grandi capacità valutative dell’ambiente da parte del cercatore.
Il ciclo vitale
Come nasce e come si riproduce il prezioso fungo?
Trattandosi di un fungo ipogeo (che cresce sotto terra) il tartufo non può diffondere le spore liberamente.
Per riprodursi, quindi, è costretto a trovare un metodo alternativo: emanando un forte odore attira alcune tipologie di animali (come volpi, cinghiali, scoiattoli, volpi, talpe, topi, lumache, lombrichi…) che se ne cibano spargendo le spore nel terreno, avviando così un nuovo ciclo di riproduzione.
Successivamente le spore, germinando, danno origine ad un nuovo micelio, costituito da sottili filamenti detti ife.
Questi filamenti, a contatto con gli apici delle radici di alcuni tipi di piante simbionti, sviluppano particolari organi (micorrize), attraverso i quali si instaura lo scambio di sostanze vitali (simbiosi): la pianta offre idrati di carbonio (zuccheri) e riceve principalmente acqua e sali minerali.
Sono le micorrize che ogni anno, al verificarsi di specifiche condizioni climatiche ed ambientali, stimolano la formazione del corpo fruttifero, cioè del vero e proprio tartufo.
Questo si forma nel suolo tra i 30 cm ed i 60 cm di profondità, e può avere un peso che varia da pochissimi grammi fino a oltre il kg.
Quando raggiunge la maturazione, ma non viene cavato, marcisce e disperde le sue spore nel terreno creando un nuovo ciclo.